Costantinopoli Di Edmondo De Amicis by Edmondo De Amicis

Costantinopoli Di Edmondo De Amicis by Edmondo De Amicis

autore:Edmondo De Amicis [Amicis, Edmondo de]
La lingua: fra
Format: epub
ISBN: 9781144336187
Google: DJ82AAAAMAAJ
Amazon: 114433618X
editore: Nabu Press
pubblicato: 1883-05-15T23:35:19+00:00


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È difficile definire la bellezza della donna turca. Posso dire che quando ci penso vedo un viso bianchissimo, due occhi neri, una bocca purpurea e un’espressione di dolcezza. Quasi tutte però son dipinte. S’imbiancano il viso con pasta di mandorle e di gelsomino, s’ingrandiscono le sopracciglia con inchiostro di china, si tingono le palpebre, s’infarinano il collo, si fanno un cerchio nero intorno agli occhi, si mettono dei nei sulle guance. Ma fanno questo con garbo; non come le belle di Fez, che si danno delle pennellate da imbianchini. La maggior parte hanno un bel contorno ovale, un nasino un po’ arcato, le labbra grossette, il mento rotondo, colla fossetta; molte hanno le fossette anche nelle guance; un bel collo lunghetto e flessibile; e mani piccine, quasi sempre coperte, peccato, dalle maniche della cappa. Quasi tutte poi sono grassotte e moltissime di statura più che mezzana: rarissime le acciughe e i crostini dei nostri paesi. Se hanno un difetto comune, è quello di camminar curve e un po’ scomposte, con una certa cascaggine di bambolone cresciute tutt’a un tratto; il che deriva, si dice, da una mollezza di membra, di cui è cagione l’abuso del bagno, ed anche un po’ dalla calzatura disadatta. Si vedono, infatti, delle donnine elegantissime, che debbono avere un piedino di nulla, calzate di babbuccie da uomo o di stivaletti lunghi, larghi e aggrinziti, che una pezzente europea sdegnerebbe. Ma anche in quella brutta andatura hanno un certo garbo fanciullesco che, quando ci si è fatto l’occhio, non dispiace. Non si vede nessuna di quelle figure impettite, di quelle mostre da modista, così frequenti nelle città europee, che vanno a passetti di marionetta, e che par che saltellino sopra uno scacchiere. Non hanno ancora perduto la pesantezza e la trascuranza naturale dell’andatura orientale, e se la perdessero, riuscirebbero forse più maestose, ma meno simpatiche. Si vedono delle figure bellissime e di bellezza infinitamente svariata, poichè c’entra col sangue turco, il sangue circasso, l’arabo, il persiano. Ci sono delle matrone di trent’anni, di forme opulente, che il feregé non basta a nascondere, altissime, con grandi occhi scuri, colle labbra tumide, colle narici dilatate, – pezzi di hanum da far tremare cento schiave con uno sguardo,

– vedendo le quali, par davvero una ridicola e temeraria spacconata quella dei signori turchi che pretendono d’esser quattro volte mariti. Ce n’è dell’altre, piccolette e paffutelle, che han tutto rotondo – volto, occhi, naso, bocca – ed un’aria così queta, così benevola, così bambina, un’apparenza di rassegnazione così docile al loro destino, di non essere che un trastullo e una ricreazione, che passandogli accanto, vi verrebbe voglia di mettergli in bocca una caramella. Ci son poi anche le figurine svelte, sposine di sedici anni, ardite e vivacissime, cogli occhi pieni di capricci e d’astuzie, che fanno pensare con un sentimento di pietà al povero effendi che le ha da tenere in freno e al disgraziato eunuco che le deve tener d’occhio. E la città si presta mirabilmente a inquadrare, per dir così, la loro bellezza e il loro vestiario.



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